Moriremo tutti,
un giorno.
La nostra pelle si farà acqua,
la nostra acqua si farà terra.
Moriremo tutti,
un giorno.
Unica certezza, questa,
quella di dover crepare.
Un giorno.
E nessuno saprà di noi,
un giorno.
Né dei nostri amori,
né dei nostri sbagli,
né dei nostri volti,
un giorno.
E quei pochi che lo faranno
saranno solo voci di genti
che vivono di genti
e che muoiono come noi.
Un giorno.
Noi, ridicoli e gaudenti
condannati a morte.
E allora scusatemi,
scusatemi tutti.
Ma prima di morire
io vorrei provare a vivere.
Nei miei profondissimi dolori,
nella violenza delle mie emozioni,
nelle mie patetiche convinzioni.
Mi dispiace, mi dispiace davvero
di avervi deluso o di deludervi poi.
Per quel che vale
sono una condannata anch’io.
Ma nel braccio della morte
vorrei scordarmi,
almeno per la manciata di anni
che resta,
che morirò come tanti,
senza poter far altro che ciò
che la mia natura richiede.
Mi dispiace che non la pensiate così,
che abbiate un insano desiderio
di logorarvi nelle convenzioni,
di schermarvi con lo stantìo moralismo
dei vostri antenati,
di allearvi nelle ipocrisie,
di perdervi nelle falsità
pur di non guardarvi davvero
dentro.
Di credere a una giustizia
che mai giungerà,
pur di non farvi giudicare.
Io non voglio fingere più.
E, per quel che vale,
tutti quanti voi
non siete stati all’altezza
neanche della sufficienza
delle mie aspettative.
Se adesso vi deluderò,
quindi,
dovete credere a questo:
voi mi avete deluso molto di più.
Ma è solo il tentativo,
questo,
l’ultimo,
disperato,
di cercare,
dopo aver creduto, sbagliando,
nelle vostre menzogne,
la mia felicità.
E scoprire se,
i sorrisi
di una condannata come me,
siano sempre tanto amari
come quelli ottenuti
a perder la ragione
nelle ragioni degli altri.
Aurora G.
Una risposta a Canto del Condannato.