Cosa hai fatto, quindi, della tua vita?

Tra roccia e Oceano, tra granchi e farfalle, resta nascosta una striscia di sabbia che il mare inghiotte.

Nei giorni più belli, le rocce respirano e il verde delle montagne trema a ogni schianto delle onde bianche sulla sabbia nera.

Distante dalle luci e coperta dalle voci, in un buco di sabbia circondato da sassi, provavo ad azzittire la mente per scoprire e svelare l’altrove.

Nell’assoluta incapacità di fermarmi tranquilla nel momento presente, mi addormentavo con gli occhi fissi sul mare, schiumoso e violento ma, a suo modo, gentile.

Mi svegliai, allora, nella stessa striscia di sabbia di mezzo, tra roccia e Oceano, con un sole assonnato che accarezzava i confini, mischiandoli.

E vidi un’ombra, avvicinarsi lenta, alta quanto due uomini ma non per questo aggressiva.

Ricordo che nel sogno, Costui non parlava: mi si fermava accanto e io, restando in silenzio, conoscevo una calma che non pretendeva né attendeva. Ma esisteva.

Fu il suo cuore, allora, a parlare, senza dire neanche una parola. E mi chiese, calmo, com’era stato il mio viaggio su questo Pianeta. E in quale modo avessi usato il tempo di vita a me prestato.

E io gli risposi, a cuore aperto, come si risponde a qualcuno quando le maschere cadono, e con loro le medaglie, così come le sconfitte e le ultime difese.

-Ti ho cercato. Ti ho cercato tradendo la mia natura, maltrattando i miei sogni, amando le umiliazioni, piegandomi alle botte, come altri te che non erano te mi dicevano di fare. Ho pensato che loro sapessero, meglio di una piccola bambina, quali fossero gli strumenti per creare l’amore. Ma mi sbagliai. Era dolore, e sangue, e lacrime quelle che stavo generando, che dopo tanti anni mi avrebbero chiesto un tempo e un come per poter esser liberate. Le ho liberate, dunque, ma solo creando attorno a me altro dolore.

Ti ho cercato, allora. Ma dentro di me. In quella parte originaria che le persone non conoscono. Perché ci hanno fatto anche gli altri, e i neuroni della gente, e gli affetti delle madri come le paure dei padri. E i cartelloni sulle strade ti strillano sugli occhi che se vuoi essere parte di questo tutto devi scegliere un vestito da sposa o un rossetto più acceso. Perché una donna, da sola, non può stare. Perché gli altri non ti vogliono solo, ti vogliono in ordine.

Allora ho provato a essere di uno, e poi ho provato a essere di altri. E con quell’uno ho trovato un amore che non è durato. E con quegli altri ho trovato me stessa, in una solitudine che dura.

E ho capito che dentro di me, potrebbe esserci anche un po’ di te.

Ma non c’eri, neanche lì. Non c’eri nell’amore, non c’eri nel deserto. Non c’eri nei suoi occhi. Non c’eri neanche nei miei.

Ti ho cercato, ancora. E ho guidato lontano. Così tanto lontano che la mia macchina sembrava stanca. Lontano dal rumore, dai semafori, dagli incroci, dalla gente. Lontano dalla gente. Lontano dalle costruzioni che altre costruzioni hanno creato dentro di noi.

E, approdata a questa spiaggia, mi sono accorta che era un pennello silenzioso a muovere la natura, mentre gli insetti volavano in pace, attorno ai lagarti. Rettili e pesci, farfalle e api. Non c’era nulla che non vibrasse come il vento tra le onde, che portava sulla spiaggia i guizzi di acqua fresca e sale. Il sale dell’Oceano, il sale delle rocce.

E questo quadro in movimento, di vita e di colori, non è stato né dall’uomo concepito né dall’uomo rispettato. Sembra, invece, che sia proprio l’uomo a volerlo ucciso, per scordarsi di lui. Per negare agli altri uomini la gioia di ricordarsi di te.

Ma io, nel mio cammino incerto e incompiuto, seppur ancora distante dall’averti trovato, sento che solo quando mi perdo in ciò che preesiste alla mia stessa specie, una piccola porta di pace si apre.

Un segno, un indizio, un’impronta. Un calice amaro ma reale.

Tra le loro regole la vita si annienta e perisce. Nell’esperienza della natura, al contrario, l’anima apprende e segue un sentiero che non è quello dei tappeti o degli altari. Né delle pagine invecchiate di altre bugie. Che sputano veleno sui corpi già morenti e anime arrese alla sopravvivenza più che alla salvezza.

La strada dell’anima, libera da tanto dolore, è un cammino di pace e di speranza, dove la natura più libera e vergine canta e celebra il talento del suo amorevole Pittore e la curiosità di un altrove lascia spazio alla bellezza dell’adesso.

Ti ho cercato in ogni momento, anche quando credevo che stessi cercando qualcos’altro. Ma non c’è nulla, in questa esperienza umana, che resti costante se non un desiderio incolmabile di conoscere il vero, che filtra tra il profumo delle foglie e l’odore del mare, ma che sfugge ancora al mio cuore, accompagnato dalla speranza di poter risposare, infine, e dopo tanto vagare, in pace.-

A.G.

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