Pensavamo ai ragazzi, a 16 anni.
Sugli scalini di pietra della casa di Benedetta e l’Oceano che ti sorride sotto i piedi,
pensavamo ai ragazzi.
Con le prime sigarette stupide, quelle che fai finta di aspirare e che spegni tra le fessure delle mattonelle.
Che tu, della vita, non sai ancora nulla ma a diciotto anni sarai già troppo vecchia per sbagliare.
Ed è un dovere cercare la felicità.
Pensavamo ai ragazzi, a sedici anni.
A quanto bene avrebbe fatto l’amore, contro il vuoto delle versioni di latino, delle tragedie familiari, degli amici che se ne vanno troppo presto.
Ai paradossi della vita non credevamo ancora, sebbene fossero le uniche esperienze che avevamo vissuto.
Al senso della vita non pensavamo mai.
“Un amore” era la risposta a tutto. Rendeva più facile anche l’ingiustizia.
Era la speranza che rimetteva in equilibrio la bilancia.
Era la speranza che non abbandonava mai il timone.
Tra qualche lacrima e troppi perché, con la speranza tornavamo a ridere.
La casa di Benedetta e i gradini di pietra sono ancora lì.
Un po’ mangiati dal sale, un po’ scorticati dal vento.
E l’amore, qualcuna, l’ha trovato davvero. Magari per poco, forse per sempre.
Ma no, non è riuscito a colmare i vuoti e gli spari.
Anche se, a volte, la sua mancanza ha regalato qualcosa in più rispetto alla sua presenza.
Adesso, sul senso della vita, ragioniamo più spesso.
Ad alcune capita guardando le ombre dei propri figli che giocano in soggiorno.
Ad altre capita nuotando da sole in mezzo all’Oceano Atlantico.
Cerchiamo la felicità, come allora, ma meno nelle persone, un po’ più in noi stesse.
Nei momenti, quelli belli, quando ci accorgiamo che i vuoti non fanno più paura.
Quando la tragedia e la commedia hanno sempre il sapore della vita.
Ma la speranza, quella no, quella non è cambiata.
Rimette sempre in equilibrio la bilancia.
Non abbandona mai il timone.
Tra qualche lacrima e troppi perché, con la speranza torniamo sempre a ridere.
Aurora Gray
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