Il Giovane Favoloso, recensione indispettita

 

Si sarebbe potuto celebrare, si sarebbe potuto anche infangare ma l’unica cosa che non ci si aspettava che si facesse era quella di ridicolizzarlo.

A prescindere dalla bravura indiscussa di Elio Germano, che conferma la sua duttilità e capacità espressiva anche in una sceneggiatura molto ambiziosa, purtroppo il “Giovane Favoloso” rappresenta una biografia didascalica del peggior manualetto su Leopardi:

Nasce, madre e padre stronzi, studia tantissimo, c’ha la gobba, muore”.

Uno dei poeti, filosofi e scrittori più conosciuti del mondo, infatti, è stato storpiato in modo così esagerato da lasciare di se stesso, alla fine della pellicola, solo una profonda sensazione di pietà.

E non è pietà che doveva far scaturire questo film ma ammirazione e orgoglio per esser nati in un paese complicato ma che vanta una storia letteraria senza paragoni. E invece…

Malgrado di voci, su Leopardi, se ne sentano a iosa tra i circoli di intellettuali (da ultimo i commenti sulle sue avventure amorose che avrebbe vissuto con fervida intensità una volta uscito da Recanati), il film riproduce fedelmente ciò che si legge tra i banchi di scuola.

Nel film, inoltre, si schivano gli argomenti più importanti che hanno caratterizzato la vita di Leopardi, quali la teoria del piacere, la fugacità della giovinezza, la continua battaglia tra genialità e stoltezza, quasi che quest’ultima sia la chiave per una permanente felicità, la precarietà della felicità stessa per colui che si interroga sulla vita e sulla sua caducità, il paradosso della vecchiaia; si dimentica “A Silvia”, “Il passero solitario”, “A se stesso”, “Il sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”, il “canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, senza considerare l’infinità di materiale dal quale attingere, a partire dallo Zibaldone di pensieri.

il giovane favoloso

E così, per Martone, la risposta all’enigma che ruota attorno alla figura del grande pensatore risulta piuttosto banale: perché Leopardi era un pessimista?

Semplice: perché era malato.

Attraverso questa scelta si impone una sorta di censura moderna sul pensiero leopardiano: nessun uomo sano e coscienzioso direbbe che la vita è sofferenza, inutilità e agonia. Ce lo dice giusto un Leopardi, dalla condizioni evidentemente fuori dal normale.

O, forse, geniale?

Aurora G.

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